sabato 14 ottobre 2017

Il rombo di Gigi

Mi capita spesso di incontrarlo per strada. Per me è facilmente riconoscibile, passo lento ma figura eretta, tipica di un signore distinto. Gli occhiali scuri nascondono parte del volto, ma già dai capelli grigi si distingue la sua figura che mi emoziona ogni volta quando la incrocio per caso per le vie della città.

Nella sua andatura intravedo i segni dello sportivo, di chi trascina con orgoglio la storia e la gloria di un popolo, quello sardo, che nel 1970 ottenne il suo riscatto sportivo e sociale come nelle migliori favole.

“In trasferta ci chiamavano pecorai e banditi. La cosa mi faceva arrabbiare. Noi ci mettevamo ancora più determinazione per vincere”, ha sempre ribadito quando gli chiedevano del suo Cagliari, dell’emozione incredibile per lo Scudetto conquistato contro i potenti.



Sono passati quasi cinquant'anni da allora, almeno quattro generazioni che nonostante le diverse età conoscono e celebrano il suo nome, quello di un eroe che non si è fatto trascinare dalle promesse allettanti e non ha mai tradito la sua maglia. Sono passati i giocatori e i vari presidenti ma tutti abbiamo la sensazione che il Cagliari sia sempre e per sempre cosa sua, il più grande ed eterno campione che abbia mai vestito i colori rossoblù.

E ora che dopo lo stadio Amsicora è stato detto addio anche al Sant’Elia, lui non è voluto mancare alla Sardegna Arena per lasciare un segno indelebile nella galleria della memoria. L’ha fatto a modo suo, in silenzio e senza flash, perché è un figlio della sua gente e come tale ha visitato il Museo che celebra le sue gesta come uno spettatore qualunque anche se quelle sale sono impregnate della sua presenza.

A cominciare dall’entrata dove una sua gigantografia ricorda ai visitatori chi irrimediabilmente ha scritto la storia fino a diventare leggenda. Lui cammina silenzioso, forse nella mente scorrono i ricordi e le immagini di quelle irripetibili vittorie di tempi ormai lontani ma indelebili nei ricordi di tutti, grandi e piccini.

Poi si ferma davanti alla foto che lo ritrae fiero, con indosso la maglia bianca con i bordini rossoblù, i cordoncini al collo e lo stemma dei quattro mori in bella vista. Dopo una titubanza iniziale la gigantografia viene firmata. Luigi Riva, un tatuaggio sul cuore di tutti i tifosi, che come me non potranno mai dimenticare e ringraziare abbastanza Rombo di Tuono.